GIORGIO BARBATO TOZZONI

Médaillé de Sainte-Hélène




Nous tenons à remercier Mauro Macedonio pour ces renseignements.
 
 

 
 
 

Biographie fournie par Mauro Macedonio
 
 
ETATS DE SERVICES de GIORGIO BARBATO TOZZONI (1781- 1873)


Giorgio Barbato Tozzoni, unico figlio maschio di Giorgio Cristiano Tozzoni e della cesenate Teresa Brunelli, nacque nel 1781 e nel 1810, alla morte del padre esule a Firenze, non acquisì né titolo e né patrimonio in quanto era lo zio Alessandro, di cinque anni più anziano del padre e ancora vivente, ad avere il diritto di discendenza, sebbene fosse ormai anziano (era nato nel 1740) e ancora scapolo. Giorgio Barbato frequentò poco, in gioventù, la vecchia casa di famiglia posta lungo la strada della Fortezza (oggi via Garibaldi), preferendo certamente la residenza di Cesena o quella di Firenze, e sicuramente fu assente per tutto il periodo napoleonico. Le sue apparizioni in Romagna furono fugaci e non sappiamo quanto l'influenza del patrio luogo natio abbia inciso sul suo carattere e sulle sue simpatie politiche. Giorgio Barbato senza dubbio più del padre maturò coscienza del mutamento dei tempi. La sua carriera militare, seppur non lunga, fu condotta all'interno della grande armata di Napoleone I e questo gli valse simpatie politiche allora definite giacobine. La parentesi militare trascorsa nel Reggimento delle Guardie del Corpo reali dell'infante di Spagna Luisa di Borbone, regina reggente dell'Etruria, protrattasi dal 1801 al 1815, fu sempre ricordata, da Giorgio Barbato con particolare ambizione. Così non fosse non avrebbe inviato, nel gennaio del 1858, all'imperatore Napoleone III un'istanza nella quale rivendicava l'onore (poi ottenuto) di potersi fregiare della medaglia di S. Elena, istituita dal Buonaparte per tutti i reduci che avevano servito e combattuto sotto le bandiere francesi o di quegli stati satelliti, come la Toscana, facenti parte dell'impero napoleonico. Nel 1817 la morte del cugino Ciro, avvenuta improvvisamente a Milano per tifo, aprì a Giorgio Barbato la prospettiva di poter ambire alla discendenza. Infatti lo zio Alessandro, ormai anziano, chiamò presso di sé a Imola il nipote cercando di far di lui un degno erede della famiglia più illustre della città. Nell'ultimo anno di vita, il vecchio conte Alessandro Tozzoni si adoperò affinchè il non più giovane nipote mettesse su famiglia, per garantire al casato l'agoniata discendenza. In un primo tempo l'attenzione cadde sulla contessina Faella, ritenuta però troppo bigotta e non all'altezza dell'educazione del futuro conte Tozzoni. Ci furono accordi anche col conte Gommi Flammini, per la figlia Elena, ma anche in questo caso non si concluse nulla tanto che la giovane andò poi in sposa a Giovanni Scarabelli e dalla loro unione, nel 1820, nacque Giuseppe. Dopo vari inutili tentativi con nobili fanciulle di Milano e Verona, Giorgio Barbato si decise finalmente per la contessa faentina Orsola Bandini strettamente imparentata, in linea materna, con la famiglia Caldesi i cui membri erano considerati i più noti esponenti della fazione giacobina della vicina città romagnola. Una vita lussuosa e festaiola e continui viaggi tennero la coppia lontana da Imola anche quando la novella sposa era ormai da alcuni mesi in attesa del primo figlio. Una festa di carnevale a Bologna, nell'inverno del 1820, fu fatale al nascituro. Questo evento tragico lasciò presagire cose peggiori per il futuro. Il 12 settembre del 1823, a Imola, la contessa partorì un maschio a cui fu dato il nome di Alessandro. Col passare dei mesi il bambino, forse per l'incuria di una nutrice, crebbe con gravi problemi ad un'anca e fu necessario operarlo, nonostante la chirurgia non desse ancora a quei tempi serie garanzie di successo. Nell'estate del 1825, quando i coniugi Tozzoni erano ai bagni di Livorno, li raggiunse la notizia che il bimbo era gravemente ammalato. Il precipitoso ritorno a casa non risolse nulla ed il piccolo Sandrino morì dopo pochi giorni. La sua scomparsa e il sospetto di avvelenamento a seguito di una presunta congiura maturata nella casa faentina della nonna materna, dovettero turbare non poco l'equilibrio di casa Tozzoni. Nel 1828 Giorgio Barbato Tozzoni fu nominato Gonfaloniere di Imola, carica che ricoprirà con difficoltà perchè i tempi erano ormai maturi affinchè le idee, che ancora covavano sotto le ceneri della passata parentesi giacobina, si maturassero al punto da trasformarsi in piena rivolta. Durante la Pentecoste del 1829, un motivo apparentemente insignificante fece scoppiare una sommossa popolare che degenerò nell'assalto e devastazione del palazzo vescovile. La crisi fu superata con una dura repressione che non fece altro che animare ancor di più gli istinti vendicativi del popolo. Anche il Gonfaloniere, Giorgio Barbato Tozzoni, subì il rischio di aggressioni fisiche che potevano mettere in serio pericolo la sua stessa vita. Negli anni che precedettero l'Unità nazionale spesso il portone del palazzo di Giorgio Barbato si aprì per ospitare cenacoli politici o riunioni segrete nelle quali si riunivano gli esponenti del movimento insurrezionale ispirato dai liberali. Giorgio Barbato morì nel 1873 lasciando al figlio unico Francesco, avuto da un secondo matrimonio, titolo e patrimonio.